Il Raccomandato é al momento in fase Beta. Alcune caratteristiche attuali potrebbero differire dalla versione finale.

Le persone al centro e la teoria del branco

Categoria:

Le persone al centro e la teoria del branco

Categoria:

Cosa c’entra la tua piccola impresa con Apple, Google, Intuit, Kodak ed altri colossi che hanno spiccato il volo? Esempi interessanti da cui prendere spunto!

Cosa hanno in comune queste persone?
Steve Jobs – Fondatore & CEO – Apple
Sheryl Sandberg – COO – Meta (Facebook + Instagram)
Larry Page – Co-Fondatore – Google
Sergey Brin – Co-Fondatore – Google
Eric Schmidt – CEO – Alphabet + Google
Sundar Pichai – CEO – Google
Jeff Bezos – CEO – Amazon
Jack Dorsey – CEO – Twitter
Dick Costolo – COO – Twitter

Queste persone condividono qualcosa. Una sola cosa. Ti lascio ancora qualche secondo per pensarci… Niente? No, non è l’Università in cui hanno studiato, e nemmeno il settore in cui lavorano, o il ruolo in azienda. Non è il conto in banca a tremila zeri, no. Neanche questo.
E non è il fatto che le aziende in cui lavorano hanno letteralmente cambiato il mondo e la vita di tutti noi.

Cedi? OK, te lo dico.

Il fattore comune a tutti loro è William Campbell, o meglio Bill.

Chi era Bill Campbell e perché ve ne sto parlando?

Bill Campbell, proprio lui, il Coach da un Trilione di Dollari. Tutti loro hanno avuto la fortuna di lavorare con “IL COACH” e per questa ragione hanno potuto esprimere il potenziale necessario a costruire i team che poi hanno creato le aziende che hanno cambiato il mondo. Per sempre. Per tutti. Per fortuna.

“COSTRUITE SEMPRE GRUPPO, COSTRUITE GRUPPO SIA IN AMBITO LAVORATIVO CHE NEL TEMPO LIBERO: IN QUALUNQUE AMBITO SI È PIÚ FORTI SE LE PERSONE HANNO LEGATO TRA DI LORO” (Bill Campbell)

Questa frase è la sintesi del credo di Bill Campbell. Per chi non lo conoscesse, Bill Campbell ha contribuito a formare (nel senso di dare una forma, impostare) le aziende più importanti del panorama mondiale, ed è stato mentore e grande amico di Steve Jobs, il quale si è sempre affidato ai suoi consigli per dirigere Apple anche e soprattutto nei momenti di burrasca. Sebbene non fosse un economista o un guru della finanza ma “solo” un ex allenatore di football, è grazie a lui se i colossi dell’imprenditoria digi-com si reggono ancora su pilastri solidi e non sono alla mercé di speculatori, geni o squali della finanza.
Cito testualmente un brano del libro che ho letto più volte in assoluto, “Il Coach da un Trilione di Dollari”, appunto.

Bill era stato un giocatore di football che, a dispetto dei suoi 155 cm di statura per 75 kg di peso, ebbe una discreta carriera, e per un certo periodo fu anche capitano della squadra della Columbia University – i Columbia Lions. Al termine della carriera sportiva divenne un allenatore a livello professionistico, quasi fosse una naturale evoluzione del percorso iniziato come giocatore, prima, e come capitano della squadra poi. Essere stato l’allenatore di una squadra – per di più di uno sport “di lotta” come il football – sicuramente lo ha aiutato a comprendere come funziona e come si gestisce un team aziendale.

Riporto alcune frasi di Eric Schmidt, sempre tratte dal libro “Il Coach da un Trilione di Dollari”, di cui Eric Schmidt è il co-autore insieme a Jonathan Rosenberg e Alan Eagle, ed è stato prima CEO, poi Chairman ed Executive Chairman di Google dal 2001 al 2015. Non proprio “uno qualsiasi” quindi:

A capo di Google in quel periodo c’era J. Rosenberg, il quale fu inserito nella lista dei 10 “cattivi” e che quando ne venne a conoscenza gongolò, non tanto per la definizione attribuitagli quanto più per il fatto di essere nel novero dei 10 top managers più importanti del mondo. Bill in quegli anni era il coach dei manager di Google e fece subito presente a Rosenberg che il suo atteggiamento poteva avere ripercussioni sulla nascente stella del panorama della Silicon Valley. Ebbero una discussione e Bill lo riprese duramente per la scarsa preoccupazione dimostrata, minacciando Rosenberg di inviare l’articolo a sua madre, chiedendogli se le avrebbe fatto piacere sapere che suo figlio era considerato “uno dei dieci più grandi stronzi del mondo”.

Rosenberg non poté fare altro se non ritornare sui suoi passi, rivedere la sua posizione e riconsiderare il suo comportamento in funzione del suo ruolo e degli obiettivi che erano ad esso legati.
La morale della storia è semplice e chiara: una squadra demotivata e vessata non rende nemmeno la metà di una in cui c’è coesione, rispetto, chiarezza e condivisione di obiettivi.

Così, per definire una linea di condotta per i manager di Google, Bill presentò il suo manifesto (che aveva sviluppato quando era coach in Intuit) e lo impose a tutti i livelli di management, salvando di fatto Google dal rischio di conflitti fratricidi e guerre intestine, deleterie per lo svolgimento armonico delle mansioni di tutti i dipendenti. Il suo manifesto si fondava – appunto – su una frase: “Le Persone al Centro”. Di seguito i punti chiave del suo pensiero.

1) Alla base del successo di qualsiasi azienda ci sono le persone.
2) Il compito di un manager è aiutare le persone a migliorare il proprio rendimento e crescere.
3) Le persone danno il meglio in un ambiente che libera e amplifica la loro energia, i manager creano tale ambiente attraverso il supporto, il rispetto e la fiducia.
4) Supporto significa offrire alle persone gli strumenti, le informazioni, la formazione e il coaching necessari per avere successo.
5) Rispetto significa capire gli esclusivi obiettivi professionali delle persone e aiutarle a realizzare tali obiettivi in modo coerente alle esigenze dell’azienda.
6) Fiducia significa dare alle persone la libertà di fare il proprio lavoro e prendere decisioni, significa sapere che le persone vogliono fare bene il loro lavoro e credere che lo faranno.

Bill è stato il fulcro su cui hanno fatto perno Apple, Google, Intuit, Kodak ed altri colossi per spiccare il volo e stagliarsi nel firmamento delle aziende più ricche ed innovative del mondo. Non era un manager Bill, quindi non aveva “il potere”, non aveva una posizione gerarchica di vertice, non doveva difendere il suo trono da chi si trovava appena al di sotto, ma guidava i manager con le menti più brillanti ed innovative del mondo nella gestione sostenibile ed etica delle loro aziende, mettendo gli individui al centro di tutto, dando loro più importanza del genio e delle capacità dei manager stessi.

Insisto su questa affinità perché voglio sostenere la tesi per cui alla base del successo di queste aziende ormai mitologiche non c’erano solo i manager, ma soprattutto c’era un allenatore di una squadra di football, che ha fatto della cura del collettivo il segreto per sparare in orbita la Silicon Valley, dritta nel futuro, trascinando con sé il progresso dell’umanità intera.
Bill Campbell ha creato i presupposti perché nascesse un nuovo settore industriale che ha poi cambiato il mondo e che continuerà a farlo, forse finché ci sarà vita sulla Terra.

Ritengo che tutto ciò abbia dei contorni che non devono sfumare e confondersi con la validità o l’innovazione del prodotto venduto dalle aziende. Bisogna prestare attenzione a come si vede la questione, e bisogna far risaltare come la gestione delle persone e la volontà di metterle “al centro” sia la chiave del successo, non il prodotto, e nemmeno chi lo ha inventato.
Ora, se questo sistema ha funzionato alla perfezione per aziende di quel calibro, devi per forza di cose riconoscerne il valore che tutte le aziende del mondo non possono più ignorare.

In questo momento storico e data l’attuale congiuntura economica e contesti socio-geo-politici, il manifesto programmatico di una impresa qualsiasi non può – e non deve – prescindere dal credo di Bill. A meno che la leadership non sia disposta a fare seppuku (cioè hara kiri, l’usanza dei samurai di suicidarsi aprendosi l’addome con la propria spada).
La profonda conoscenza e il rispetto del proprio gruppo è condizione essenziale per garantirne la sopravvivenza tramite la trasmissione dei geni alle generazioni future, cioè garantire che tutti in azienda, anche chi sarà assunto in futuro, abbiano la stessa “cultura aziendale”, gli stessi valori e principi, che non ci sia bisogno di spiegare e di dare regole, obiettivi o punizioni.

Un manager deve conoscere il potenziale e le risorse di cui può disporre per ottenere gli obiettivi massimi, e il primo mattone necessario per iniziare a costruire il processo è conoscere l’asset primario che ogni azienda possiede, ovvero le persone. Il lavoro è un concetto astratto e complesso da descrivere o sintetizzare ma, riducendo ai minimi termini, in fondo altro non è se non la somma delle azioni coordinate di un dato numero di individui, ai quali è attribuita una funzione specifica al fine di concorrere al perseguimento dell’interesse della collettività.

Le leggi della natura sono l’esemplificazione più alta del concetto di interazione funzionale, tutto è coordinato e calibrato in modo da garantire l’equilibrio e la funzionalità. Potremmo prendere esempio da ogni manifestazione della Natura, ma il branco di lupi secondo me è l’esempio più calzante nel caso specifico del paragone con un’azienda, per diverse ragioni. Innanzitutto, il branco è l’organizzazione del collettivo più efficiente in termini percentuali nell’ottenimento dell’obiettivo comune, perché è un’organizzazione basata sulla suddivisione dei compiti e sulla la collaborazione di individui appartenenti allo stesso gruppo, e perciò denota una somiglianza marcata con le dinamiche di un’azienda.

In secondo luogo, il lupo è stato il primo animale ad instaurare un rapporto simbiotico con l’uomo nel perseguimento di un obiettivo comune ad entrambi: la caccia. Per questa sua capacità di cooperare al di fuori dei confini imposti dalla razza, il lupo ha dimostrato di sapersi adattare mantenendo il suo modello comportamentale al centro del progetto, ossia la cooperazione come risorsa strategica e primaria finalizzata all’ottenimento di un fine, espandendo il concetto di branco fino ad includervi un diretto concorrente, come l’uomo.

Ancora, il diretto discendente del lupo, il cane, è l’animale domestico più diffuso anche se la sua funzione di aiuto nella caccia è quasi del tutto decaduta, ma il discendente del lupo è stato in grado di modificare il proprio comportamento adattando le sue abilità ad un nuovo sistema di cooperazione funzionale alla sua sopravvivenza, e ha imparato cioè ad inserirsi in un branco “misto”, mettendo sempre le proprie capacità al servizio di un sistema di interazione funzionale diverso da quello originario, ma mantenendo chiaro l’obiettivo primario, cioè la continuazione della specie. Da questa oculata scelta strategica, e dalla capacità di adattamento, sono nati il cane pastore, il cane da guardia, da compagnia e da caccia. Quest’ultimo poi rappresenta la massima espressione di questo concetto dato che è stato in grado di riprogrammare la sua genetica imparando a non uccidere e sbranare la preda, ma a riportarla al partner umano in cambio di cibo. Non tutto-e-subito quindi, ma piuttosto separazione dei compiti e spartizione dei profitti: il funzionamento di un’azienda spiegato da un cane!

La conoscenza del territorio in cui si opera, dei suoi attori, delle dinamiche, delle risorse disponibili e della sua geografia va di pari passo con la necessità di conoscere a fondo il proprio capitale umano per poter concorrere con successo al perseguimento di obiettivo comune essenziale: la sopravvivenza.

In natura, come nel business, è necessario prestare la dovuta attenzione all’equilibrio e perseguire una crescita costante e duratura. Il modello naturale può essere di ispirazione, perché ha funzionato alla perfezione per qualche migliaia di milione di anni sul pianeta Terra.
Ormai è chiaro che il modello umano, così com’è oggi, non ha più un futuro, che le risorse del pianeta sono in via di esaurimento e che c’è quasi certezza matematica che il punto di non ritorno sia già stato superato. Il genere umano ha creato un modo di sfruttare le risorse e il territorio diverso dagli altri esseri viventi. Il suo sistema non è sostenibile perché si fonda su un principio incompatibile con le leggi della natura.

La stessa regola è valida in un sistema economico in cui le risorse disponibili vanno amministrate con cautela e abilità, per poter crescere in maniera sostenibile rispetto agli obiettivi ed alla disponibilità di risorse. Per crescita sostenibile non intendo solo la riduzione dell’impatto ambientale utilizzando materiali o adottando soluzioni che riducono l’inquinamento, ma intendo proprio il concetto che dovrebbe stare alla base di ogni ragionamento e di ogni azione di chi governa, gestisce o amministra un’attività imprenditoriale, e prima ancora la Res Publica.

Gestione sostenibile significa azione e programmazione etica. Il benessere del gruppo e la cultura aziendale contribuiscono a creare un sistema che promuove cooperazione, inclusione, scambio, condivisione invece di profitto, scontro, competizione.

Dennis Comunian